Katrin Klinder le tiene nel giardino di casa, la Genbyg – società danese di riciclaggio di rifiuti dell’edilizia – in quello aziendale, vicino all’aeroporto, per rafforzare l’immagine ‘sostenibile’ del proprio marchio, Julie condivide la passione con sua madre in pieno centro di Parigi, alcuni hotel ce le hanno addirittura sul tetto, Peter James invece insegna a 400 adepti a prendersene cura nella città di Londra.

Sono i sostenitori delle api ‘urbane’. E loro, le dirette interessate, che dicono? Ringraziano e dichiarano che, tutto sommato, stanno meglio in città che in campagna: più biodiversità, meno pesticidi nonostante l’inquinamento, e abbondanza di foraggi tutto l’anno. L’apicoltura urbana sta dilagando in tutto il mondo per contrastare l’inesorabile moria delle api, favorire l’impollinazione, tenere sotto osservazione l’inquinamento, educare le giovani generazioni alla cura dell’ambiente. Oltre, naturalmente, poter gustare e vendere un ottimo miele autoprodotto, nonché assecondare una passione. Perché per allevare le api ci vuole molta, tanta passione, dedizione e sapere. Ma il risultato è impagabile: un solo favo produce da 20 a 80 kg di ottimo miele in un anno. Le api, dal canto loro, sembrano apprezzare la vita cittadina.

A Copenhagen (Danimarca) gli apicoltori cittadini sono circa 700 (250 in centro e circa 450 nell’hinterland), la città molto verde si presta. E così sono le stesse api a migrare dalla campagna al centro urbano: sfuggono da un ‘deserto verde’ fatto di monocolture e prodotti chimici, per approdare ai tanti progetti messi in campo dalle associazioni di apicoltori, spaziando tra parchi pubblici, giardini privati, balconi, tetti di abitazioni e ristoranti. Non importa se c’è l’inquinamento: loro sanno evitare i fiori ‘contaminati’ per approvvigionarsi solo in quelli più sani. E infatti, le prove sui mieli prodotti in città non presentano livelli di contaminanti diversi da quelli di campagna. Senza contare la valenza sociale: diversi sono i progetti destinati alle scuole, alle case per anziani, alla sostenibilità urbana e al coinvolgimento di senzatetto e persone con difficile accesso al mondo del lavoro.

A Londra arnie anche sulla Royal Festival Hall

In Gran Bretagna i numeri degli apicoltori urbani sono ancora più alti: ogni quartiere ha la sua associazione e ciascuna raccoglie tra 80 e 150 membri, tanto che hanno dovuto chiudere le adesioni poiché la città non riesce più a sostenere il numero in crescita, nonostante le molte zone verdi e i viali alberati. Persino il cimitero di Highgate ospita un apiario che produce tra i 50 e i 70 chili ad alveare. Anche la nota Royal Festival Hall ha arnie sul tetto, così come il negozio di specialità gastronomiche Fortnum&Mason a Piccadilly, che invita gli apicoltori cittadini a portare i loro mieli e venderli presso i suo corner. E anche in Italia, le città che ospitano gli apicoltori sono in continuo aumento, da Palermo a Roma, Bologna, Firenze e Torino. Grazie al sostegno di Aspromiele, la realtà delle associazioni di apicoltori urbani italiane è diventata una rete nazionale di monitoraggio ambientale, BeeNet, finanziata dal Mipaaf.

Come si diventa apicoltore in Italia

Quali consigli dare, quindi, a chi intende intraprendere questa appassionante attività? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Paternoster, titolare della Mieli Thun, realtà trentina apprezzata da chef e pasticceri: “La prima cosa da tenere ben presente – spiega – è sapere che si ha a che fare con un essere vivente, molto delicato. Di solito pensiamo alle api come animali da temere perché pungono, in realtà sono creature piccole e fragili. Quindi, prima di affrontarne l’allevamento, bisogna avere una solida base teorica. Leggere dei manuali di apicoltura, studiare un minimo di biologia delle api e tecnica apistica. Poi è fondamentale affiancare almeno per una stagione un apicoltore e fare con lui esperienza pratica”.

Naturalmente, anche le leggi italiane sono da conoscere: l’attività dell’apicoltore è regolamentata sotto il profilo civilistico, amministrativo e, se si intende dedicarsi anche alla vendita, fiscale. Così, per esempio, bisogna sapere che in Italia vi è l’obbligo di denuncia e georeferenziazione degli alveari, che la salute delle api ricade sotto la competenza dei veterinari, i quali devono rilasciare apposita autorizzazione anche in caso di semplice spostamento delle casette, e che per individuare il luogo in cui mettere i favi si devono seguire delle determinate regole (tipo, rispettare la distanza con il balcone dei vicini). Le diverse associazioni italiane di apicoltura, comunque, offrono tutto il supporto possibile: le maggiori a cui rivolgersi sono Aspromiele di Torino, Fai -Federazione Apicoltori Italiani o Cra-Api di Bologna.

L’attività si avvia con meno di 500 euro

Una volta imparato tutto questo, il costo per installare il proprio favo è davvero minimo: si va dai 150 ai 350 euro per una colonia di api con arnia e struttura, cui aggiungere circa un centinaio di euro per l’attrezzatura minuta (affumicatore, leva, separatore…) e altrettanto per la gestione del favo durante l’anno (alimentazione di soccorso, cambio dei favi se necessario, cure in caso di malattie). Anche il momento di raccogliere il frutto del lavoro apesco non richiede particolari investimenti: “Se si raccoglie il miele per consumo personale – distingue Paternoster – si può fare con semplici attrezzi da cucina, senza bisogno di altro a parte volontà e un po’ di pazienza. Se invece si vuole vendere il prodotto, si dovrà acquistare uno smielatore che dovrà rispettare norme igieniche e sanitarie. Stesso discorso per il confezionamento e l’etichettatura. In Italia sono ancora poche le realtà di chi mette in comune smielatore e confezionatrice”.

Fatto tutto questo, però, non resta che gustare il prezioso oro liquido.